La vera differenza tra Sarto e Stilista

Mi è capitato di leggere questo articolo della Repubblica che risolleva l’annosa questione della mancanza di nuove generazioni di sarte (come anche di modelliste). Paradossalmente in Italia abbiamo tra le migliore scuole di moda del mondo che ogni anno sfornano decine di giovani (speriamo) promettenti stilisti.

In questo articolo spiego la mia personale differenza tra sarto e stilista e come mai molti ragazzi preferiscono seguire la strada dello stilista (che molte volte finisce con il fare il commesso da ZARA) piuttosto che fare il sarto.

Tra le tante cose che noi Italiani siamo bravi a fare (e che ci vengono riconosciute in tutto il mondo) svetta senza dubbio la moda. Anche senza essere grandi esperti o veri e propri appassionati, possiamo nominare facilmente molti stilisti: Giorgio Armani, Miuccia Prada, Salvatore Ferragamo e così via, storie affascinanti di persone che con il loro carisma e la loro particolare sensibilità artistica, unita a una indiscussa abilità imprenditoriale, sono riuscite a emergere e a far prosperare i loro marchi.

Quello che è incredibile è che molto probabilmente questi marchi continueranno a prosperare anche senza la direzione artistica e la presenza “fisica” del loro leggendario fondatore per innumerevoli anni a venire. Com’è possibile? In questo articolo cercherò di raccogliere alcuni fattori che rendono un brand vincente. Partiamo dalla cosa più importante, il punto di inizio senza il quale non potrebbe esistere la moda: lo stilista.

La domanda sorge spontanea: “chi è uno stilista?”

Lo stilista è una di quelle figure presenti nel nostro immaginario collettivo e avvolte da un aura di fascino indiscusso; spesso è visto come un creativo, un visionario, un provocatore, che tramite le sue creazioni o la sua personalità particolarmente stravagante e controversa riesce a far parlare di sé (nel bene e nel male), godendosi i frutti del suo lavoro con una vita da star, sempre circondato da attori, personaggi pubblici, artisti e così via.

Questa è senza dubbio la realtà più “patinata” che, con un briciolo di invidia, ci fa sognare di poter un giorno arrivare a tali traguardi.

Poi c’è la parte tecnica e quella “creativa”. Lo stilista nella maggior parte dei casi è chi “pensa”, “crea bozzetti”, “interpreta mood” e come tutti i bravi artisti ha una sua bottega il suo atelier, dove dietro una macchina da cucire, destreggiandosi tra cartamodelli, manichini e stoffe dà vita alle sue creazioni.

Qui potrebbe sorgere un altra domanda: “anche un bravo sarto è in grado di cucire, creare splendide creazioni. Qual è la vera differenza con uno stilista?” la risposta più ovvia sarebbe:

“Lo stilista diventa tale perché durante la sua formazione studia moda mentre un sarto no”

In realtà non esiste risposta più sbagliata!

In Italia abbiamo senza alcun dubbio alcune delle più quotate scuole di moda e di design nel mondo, che garantiscono una formazione eccellente a chi le frequenta, ma non è la preparazione in sé a fare la differenza. Magari anche tu come me hai frequentato l’università e portato a casa una laurea, magari hai voluto esagerare e ci hai aggiunto anche un master e vari corsi di formazione. E poi cos’è successo? Arrivato nel mondo del lavoro, ti sei accorto che tra la teoria e la pratica c’era una grande differenza. Anche nella moda è esattamente così.

A fare la differenza tra un sarto e uno stilista è il prodotto, e non stiamo parlando di vestiti o accessori.

“uno stilista non crea capi, crea modelli di business”

Quello che accomuna tutti i più grandi stilisti della storia è l’essere stati, oltre che grandi creativi, anche grandi imprenditori e l’aver unito la propria sensibilità artistica, la propria padronanza del gusto e la propria ricerca nella scelta di tessuti, fantasie e tagli in un’alchimia sapientemente miscelata: la creazione di un brand.

Ci tengo a sottolinearlo: probabilmente nessuno di loro era nato imprenditore e probabilmente nessuno di loro pensava di creare un brand per soldi o per il mero profitto, ma piuttosto per seguire un’intuizione, una passione che, forse, non avrebbero nemmeno immaginato quanto lontano li avrebbe portati. E, con il tempo, imprenditori lo sono diventati.

Nessuno di loro avrebbe raggiunto il successo se non fosse stato in grado di raccontare al mondo la propria unicità e personalità dietro ogni collezione, scelta stilistica e indumento, ma soprattutto non avrebbe ottenuto la fama e il riconoscimento di tutti se non fosse stato in grado di vendere le proprie creazioni.

Tutto questo creando un asset vincente, costruendo il proprio “personal branding” e mettendoci la faccia come stilisti, raccontando la propria storia, esaltando il proprio carattere, gusto e i tratti distintivi che li rendevano diversi e unici gli uni rispetto agli altri.

Per questo, a distanza di ben 46 anni dalla scomparsa di Coco Chanel (1971), Chanel è ancora oggi un marchio prestigioso, conosciuto da tutti e di successo. Il mito del fondatore sovrasta ancora oggi i nomi di tutti gli stilisti che si succedettero alla direzione artistica e che poi al contrario trovarono la fama creando il loro personal branding! Un esempio per tutti è Karl Lagerfeld.

Visto che sei arrivato/a fino a qui e questo è uno dei miei primi articolo, è il momento di presentarmi: sono Corrado Manenti, mi occupo di marketing e sono un “designer of designers”. Che cosa faccio? Aiuto gli stilisti o aspiranti tali a costruire il proprio brand e confrontarsi con il mercato. Non sono uno stilista, ma probabilmente lo avevi già capito: penso che avrei difficoltà persino a cucirmi un bottone, figuriamoci a usare una macchina da cucire! Questi però sono tutti strumenti e competenze utili che, sia che tu ti senta più “sarto”, “stilista” o semplice curioso, è importante avere, padroneggiare e perfezionare sempre di più. Il mio lavoro invece si concentra sull’idea. Perché non basta essere “bravi” (quello di sicuro aiuta sempre) e avere una buona intuizione, siamo in un mondo infatti dove ci sono persone tecnicamente preparatissime e così tante idee che è difficile essere originali. Quello che fa la differenza tra chi vuole fare lo stilista e costruire con il tempo e il duro lavoro il proprio marchio e chi crea capi o accessori per la propria soddisfazione personale è il processo mentale.

La vera differenza quindi tra un sarto (o qualunque tipo di artigiano “bravo a fare qualcosa”) e uno stilista/imprenditore nell’ambito della moda è una questione di “mindset”, di “visione delle cose”, nello specifico tutta la strategia che si costruisce a valle che include una solida base di marketing, analisi dei costi, creazioni di business plan e così via.

Queste cose di solito non le insegnano in nessun corso, tantomeno nelle accademie e nelle scuole di moda, perché esistono due macro convinzioni che portano alla rovina e ad una prematura sconfitta coloro che vogliono diventare stilisti:

  1. L’esaltazione dell’intuizione creativa fine a se stessa, senza un nesso reale con il mercato. Viviamo in un mondo iper-comunicativo, siamo costantemente bombardati da informazioni e la maggior parte delle persone, statistiche alla mano, non va nemmeno più a fare shopping nei negozi ma sceglie, compra e scopre quello che desidera nel vasto mare di internet. Non è più possibile pensare di creare moda senza conoscere i canali di distribuzione e i comportamenti di acquisto dei potenziali clienti, come non è più possibile pensare che basti fare “cose belle” che alla fine qualcuno comprerà. Questa mentalità è tipica dei negozianti, che hanno una porta che dà verso il mondo e a seconda della zona della città dove sono posizionati i loro negozi non fanno che aspettare che “prima o poi” qualcuno entri e magari addirittura compri qualcosa. Non c’è da stupirsi che nelle piccole e medie città queste tipologie di attività siano andate incontro a un’inevitabile crisi.
  2. La mentalità da “artista”, ovvero aspettarsi che la realizzazione in sé di un oggetto (un capo, un accessorio che sia) basti automaticamente a comunicarne il valore e sopratutto ci permetta di poterlo vendere. Il problema (è la storia che ce lo insegna) è che il fine ultimo dell’Artista raramente è quello di guadagnare con la vendita delle proprie opere, e la maggior parte degli artisti che tutti noi adoriamo (Van Gogh e Caravaggio, solo per citarne due) hanno avuto un pieno riconoscimento soltanto postumo, e una vita, a dir poco, travagliata e controversa.

La lezione che ci viene dalla storia è che il riconoscimento del nostro “ruolo” e delle “nostre” creazioni viene dagli altri, dai nostri clienti, da quelli che apprezzano la nostra filosofia di vita e di creazione e acquistano e vestono un nostro capo proprio per “sentirsi parte”, questo è possibile solo se abbiamo saputo confrontare la nostra idea con le persone, nel mondo reale, abbiamo saputo soddisfare una esigenza, di esclusività, appartenenza e così via. Magari abbiamo saputo scegliere i materiali giusti, i giusti fornitori, siamo stati attenti a non spendere troppo né troppo poco, abbiamo fatto in modo che la nostra vetrina non fosse affacciata soltanto su una strada di paese ma sul mondo.

La strada di chi vuole fare moda è questa, sono solo gli strumenti e i luoghi che cambiano e si evolvono. Alla fine se riuscirai a far comprendere agli altri il valore delle tue idee infuse nelle tue creazioni verrai automaticamente identificato come il creatore, colui che ha avuto l’idea, il fondatore. Ricordiamoci sempre di Coco Chanel, che al momento della sua consacrazione ufficiale disse di essere stata per tutta la sua carriera:

“Solo una semplice sarta”

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